Al di là della incredibile disfatta che ha messo fino all’avventura dell’Argentina ai mondiali, e contemporaneamente alla permanenza di Maradona sulla sua panchina, ci sentiamo di dire che il grande Diego come allenatore ha ancora molto da imparare.
Come tutti i tifosi del Napoli non possiamo che essere legati a lui, mito vivente, l’unico capace di darci una gioia che dura a vent’anni dal suo addio. Il suo essere spontaneo, politicamente scorretto, genuino nei pregi e nei difetti, fanno di Maradona un personaggio che si è fuso nel dna di Napoli facendone ormai imprescindibilmente parte.
Il grande giocatore che fu Diego non corrisponde ancora al grande allenatore che potrà diventare. In campo Diego è un grande motivatore, un fratello maggiore, un capitano non giocatore, che in allenamento piazza la palla e fa capire che un tempo il suo sinistro è stato il numero uno, e probabilmente lo resterà per sempre. Sulle ali dell’entusiasmo la sua Argentina ha superato il primo turno imbattuta, dopo che aveva guadagnato la qualificazione con sofferenza, e con una squalifica.
A Diego, però, manca l’esperienza, e la capacità di leggere la partita in corso d’opera, come un grande allenatore deve saper fare. Lo abbiamo visto contro la Germania, quando si è lasciato ammutolire dall’orda germanica, senza avere la minima capacità di tentare una contromossa. I suoi secondi spesso gli danno indicazioni, e lui le accetta, si fa consigliare, ma gli manca ancora la capacità di trasformare la squadra tatticamente, per portarla alla vittoria.
Per allenare il Napoli, insomma, è presto: preferiamo tenerci Mazzarri, in attesa che Diego, smaltita la delusione mondiale, migliori sempre più come tecnico per arrivare un giorno a sedere sulla nostra panchina.
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